Poeti e ragionieri

03.01.2012 22:14

Viviamo in un’epoca dominata dalla finanza o, come si dice spesso, dal mercato. A livello mondiale –ovviamente un certo mondo- è questa benedetta economia a dettare le regole e non solo, come sarebbe comprensibile, per ciò che riguarda il far tornare i conti e il gestire gli affari finanziari. Tutto viene deciso in base a regole economiche. Spesso l’etimologia delle parole riecheggia il loro “inconscio” e anche se non tutto il significato si esaurisce lì, è sempre utile dare uno sguardo: economia viene dal greco e rimanda al concetto di “regolamentare la dimora”, più in generale possiamo dare a dimora il significato di ambiente in cui si vive. E’ quindi un bel concetto che fa pensare alla regolatezza, bene necessario nella vita, tanto quanto il genio, l’estro, la creatività, valori indispensabili all’umanità. Se però andiamo a vedere bene, l’unica regola che importa veramente a chi gestisce l’economia è la legge del più forte o del più prepotente. Basti pensare al capitalismo italiano, la Fiat, un’economia “assistita” con fondi pubblici, da sempre, che non vuole essere controllata, ma vuole di converso controllare o condizionare le scelte politiche. Il potere del denaro è vecchio quanto il mondo, ma in questa fase storica pare si sia arroccato in una torre d’avorio e sembra voglia vivere solo di sé stesso, non solo, ma pare anche voler divenire una sorta di “pensiero unico”. In questi ultimi mesi in Europa non si è parlato d’altro che di spread, tassi, interessi ecc. Non voglio essere ingenuo e far finta che la “dura” realtà dei bilanci e dei conti pubblici non abbia importanza, ce ne ha eccome. Ma siamo sicuri che il problema sia come ce lo raccontano e la soluzione come ce la prospettano? Per esempio Naomi Klein nel suo libro Shock Economy dice (cito Wikypedia) che l'applicazione delle politiche liberiste teorizzate da Milton Friedman (che prevedono privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica e liberalizzazioni dei salari) sia stata effettuata sempre senza il consenso popolare, approfittando di uno shock causato da un evento contingente, provocato ad hoc per questo scopo, oppure generato da incapacità politiche o da cause esterne. Inoltre l'effetto dell'applicazione di queste teorie è stato la crescita della disoccupazione e il generale impoverimento della popolazione. Tra questi shock l'autrice annovera le torture ed il regime di Pinochet in Cile nel 1973, il crollo del muro di Berlino e l'instabilità economica in Polonia e Russia all'inizio degli anni ottanta, l'inflazione inarrestabile in Bolivia, la guerra delle Falkland per Argentina ed anche in Gran Bretagna, la guerra in Iraq e la distruzione di New Orleans per opera dell'Uragano Katrina in tempi più recenti.

Insomma c’è addirittura una teoria su come farci “mandar giù” i bocconi più amari, ma forse questa non è l’unica realtà possibile, non è l’unica “narrazione” sostenibile dei nostri tempi e faccio un piccolo esempio: in Cecoslovacchia nel 1989 –momento critico adatto alla shock economy- è stato eletto come presidente, che poi ha governato per più di un decennio, Vaclav Havel (morto il 18 dicembre appena passato), scrittore, drammaturgo, dissidente nell’era comunista, autore della cosiddetta “Rivoluzione di velluto” (dell’Havel politico conosco e consiglio il libro “Il potere dei senza potere”). Quindi si può scegliere anche un poeta invece dei soliti ragionieri.