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Lettera aperta a Travaglio

14.01.2013 18:07

Caro Travaglio, sono un suo ammiratore e lettore da sempre, sono anche un assiduo lettore de Il Fatto, di cui sono stato all’inizio un abbonato. Quella che voglio rivolgerLe è più che altro una preghiera che nasce dopo la visione (parziale, tutta era troppo indigesta anche per me, che in casa sono l’unico che resiste a certi spettacoli) dell’ultima puntata di Servizio Pubblico, quella con ospite Berlusconi per intenderci. Lo “spettacolo” è stato desolante: ma come, aspettiamo vent’anni per avere il losco figuro in una “arena” non addomesticata da lui e lo trattiamo col fioretto? Un ‘occasione storica per sbugiadarlo, far emergere finalmente la verità su alcuni fatti e ci mettiamo a fare “Zelig”, come giustamente notava il Caimano? Non ci sono parole per spiegare quanto è successo: basti pensare a Santoro con i capelli “preparati” con il ricciolino “tirabaci” sulla fronte per arrivare all’ammissione stessa di quest’ultimo che c’erano degli accordi per la trasmissione sui limiti reciproci da non oltrepassare. Accordi? Con Belzebù? Ma allora diciamolo che ci vogliamo male e che una buona parte degli Italiani è irredimibile e finiamola qui, ognuno per sè. A mio avviso se la “real politik” televisiva imponeva lacci e lacciuoli indigeribili era meglio rinunciare e invitare qualcuno più interessante e costruttivo, così si sarebbe dimostrato nei fatti che un’altra informazione è possibile. Ripeto: non si va col fioretto ad un incontro del genere, ci si va con la mazza, non era il momento di fare distinzioni poetiche e domande cervellotiche, bensì di porre domande chiare, non aperte, che lasciassero –come è accaduto- la libertà al grande affabulatore di svolazzare a proprio piacimento. Domande per cui le risposte possibili sono solo due, o è sì o è no. E poi ancora che senso ha avuto mantenere un’elasticità delle regole? L’ospite vuole ribattere subito ad  un certo intervento, quando il conduttore ha appena detto che avrebbe avuto modo di rispondere dopo e glielo si concede, perchè? L’ospite vuole andare sul tavolo dei giornalisti e fare Travaglio, per fare spettacolo e glielo si concede. Perchè? Non c’è stata alcuna fermezza nella guida del programma. Perchè? Nonostante  gli si possano riconoscere grandi meriti oggi Santoro non ha niente da ammirare, anzi. La sua aria da studente comunista ribelle (niente da dire contro costoro) invecchiato ha stufato, è inefficace e risulta alla fine collusiva con i vari personaggi di potere che si alternano sul palco. In questa puntata di Servizio Pubblico –e non solo in questa- ha vinto il berlusconismo , se non Berlusconi, ha vinto il sacro rispetto per l’audience, per lo share che è l’essenza del fenomeno mediatico berlusconiano che ci avvolge con le sue spire dalla fine degli anni settanta e che ha preparato l’Italia che abbiamo sotto gli occhi, fatta di veline, letteronze, pupe e secchioni e altre mostruosità. Vengo dunque alla preghiera: Lei, Travaglio, oltre ad essere la persona che è, il grande giornalista che è, ha anche un ruolo pubblico di difensore e sostenitore della verità, e molti la seguono ed ammirano proprio per questo, è come se rappresentasse un filo di continuità con altri personaggi ed eventi sociali e penso al momento di “Mani pulite”, che hanno rappresentato per molti italiani il tenere accesa la speranza di cambiare. E’ una responsabilità che credo Lei sappia di avere e quindi la preghiera è di tenervi fede ancora, per esempio smarcandosi da Santoro (schiavo dell’audience), al limite anche lasciando Servizio Pubblico che ormai non è più fedele –a mio modo di vedere- ai principi di libertà che l’avevano ispirato e fatto nascere. C’è Il Fatto e altri luoghi che si possono immaginare e costruire per portare avanti la fiammella della speranza. Con sincera stima E.Santirocco

 

Anti-politica e contro-politica

26.09.2012 10:52

 

Sul sito del Quirinale leggo l'intervento del Presidente Napolitano rivolto agli studenti in occasione dell'inaugurazione del nuovo anno scolastico. Come al solito parole semplici  e concetti alti sulla scuola, la nazione e i giovani, ma anche -e qui si punta il mio interesse- un accenno a ciò che stiamo vivendo e vedendo in questi giorni del malaffare della politica nelle regioni come il Lazio (ma non è la sola regione). Dice Napolitano: "Chi si preoccupa oggi giustamente per l'anti-politica, deve saper risanare in profondità la politica. E risanare la politica, far vincere la legalità  si può. Così come si può far vincere la legge contro la mafia, ce l'hanno dimostrato 20 anni fa e li abbiamo ricordati Falcone e Borsellino". Belle parole, ma quanto corrette dal punto di vista di un'analisi storico-politica e quanto vere rispetto a fatti che stanno accadendo e dai quali un presidente della  repubblica non può chiamarsi fuori? Mi spiego: Napolitano ha sempre dimostrato una forte antipatia verso la cosiddetta anti-politica e i suoi rappresentanti, ricordiamoci la sua risposta quando -dopo le ultime amministrative- gli venne chiesto cosa pensava del boom dei Grillini e Lui rispose "Non ho sentito nessun boom". La risposta può sembrare arguta oppure, e così io credo, dimostrare la sordità selettiva di chi non vuol sentire. Ma si può chiamarsi il presidente di tutti gli Italiani e poi non voler tener conto delle centinaia di migliaia di cittadini che partecipano a quel movimento, ma anche ad altre formazioni politiche come IdV e altre ancora che restano ostinatamente all'opposizione del nostro governo unico sostenuto da tutti i benpensanti tra cui per appartenenza anche i Fiorito e le Polverini e altri ancora come Formigoni, Lusi, Penati e via dicendo? Vorrei ricordare anche che prima delle ultime elezioni regionali in Piemonte gli anti-politici grillini avevano chiesto un incontro alla presidentessa uscente e ricandidata Mercedes Bresso (PD), la quale decise di non riceverli; poi -perse le elezioni per pochi voti- il PD accusò 5Stelle di aver fatto perdere il centro-sinistra, perché a quel punto i grillini si erano presentati da soli. In questo discorso di cui Napolitano (come moltissimi altri rappresentanti dei partiti storici) si è fatto portabandiera sussiste anche un errore di analisi: non si può chiamare anti-politica ciò che sta avvenendo attraverso i movimenti come 5Stelle. E' più corretto parlare di contro-politica, analogamente a ciò che viene chiamato contro-democrazia che non è affatto la rinuncia ai principi democratici, anzi ne è il tentativo di preservarli attraverso la sorveglianza, la denuncia e la verifica da parte dei cittadini che entrano così direttamente nelle maglie della vera democrazia, cioè governo del popolo. Almeno nelle più moderne democrazie. Chiedevo poi quanto sono vere le parole di Napolitano quando parla di Falcone e Borsellino e del loro aver fatto vincere la legge contro la mafia. E' vero quei giudici e molti altri rappresentanti delle Istituzioni ci hanno messo l'anima e rimesso la pelle per combattere la mafia, è vero hanno anche dimostrato che la legge può essere più forte della prepotenza e del crimine, la mafia però è ben lungi dall'essere sconfitta ancor oggi, anzi ha permeato ancor di più la maglie della politica tanto da divenire indistinguibile da essa. Perché accade ciò? Penso perché come al solito non si è voluto portare fino in fondo il lavoro iniziato dai Falcone e dai Borsellino, che -ricordiamolo- finirono per essere isolati proprio dalla politica e non dalla contro-politica. E allora rilancio e chiedo: può il Presidente Napolitano dire le cose che ho citato da un lato e dall'altro non intervenire contro il tentativo di rottamare la DIA (Direzione Investigativa Antimafia) in atto di questi tempi? DIA che tanti successi ha mietuto proprio contro la mafia. E ancora: può il Presidente Napolitano dire queste cose da un lato e dall'altro entrare in rotta di collisione proprio con i Giudici palermitani che vogliono portare fino in fondo l'indagine sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia? Sono domande retoriche perché Napolitano queste contraddizioni le ha già praticate, quindi può, ma come dobbiamo leggerle? Come l'espressione di un insanabile conflitto tra il Napolitano rappresentante di un partito (non importa quale, qui la distinzione è tra establishment e non) e il Napolitano che dovrebbe essere Presidente di tutti, super partes? Se è così lo si dica, lo si riconosca. Se non è così allora com'è? Mi sono sempre chiesto perché un uomo (non solo Napolitano intendiamoci) che arriva ad una certa età e viene eletto Presidente della Repubblica no si prenda il gusto di uscire dalle pastoie della politica (questa sì anti-politica) per volare più alto e fare finalmente ciò che i suoi ideali giovanili lo spingevano a fare quando entrò in politica credendoci. La risposta che mi sono dato è che un uomo così (tranne rarissime eccezioni, forse Pertini) non arriverà mai a fare il Presidente perché non ce lo vogliono, gli uomini liberi non piacciono. Speriamo nella contro-democrazia e nella contro-politica.

Di Pietro è matto?

25.09.2012 11:00

Leggo che gran parte dei commenti su "Il Fatto Quotidiano" relativi all'interrogazione parlamentare di IdV sono contrari e la sottolineano come una sorta di difesa di casta fatta da un potente (Di Pietro) in favore di un altro potente (Sallusti). Non sono d'accordo: prima di tutto non metterei sullo stesso piano le due persone, perchè Di Pietro -riconoscendogli i molti passi falsi ed errori fatti in questi anni- resta il rappresentante di una parte politica che continua a difendere la legalità in Italia e a fare una giusta opposizione a molte delle infamie che la politica dominante propone quotidianamente. In secondo luogo la storia personale di Di Pietro, lo si voglia o meno, è una storia di vicinanza a tutti quegli italiani che negli ultimi 20 anni hanno desiderato e combattuto per una una giustizia più equa, perché la legge sia uguale per tutti. E qui mi si dirà: "Appunto, allora perché difendere un impresentabile come Sallusti, se non perché sono tutti nella stessa casta di intoccabili?". Qui rispondo con il terzo argomento: se non capisco male la proposta di Di Pietro e di IdV è di depenalizzare i reati d'opinione per quanto riguarda la sola pena del carcere e questo mi pare un sacrosanto principio di democrazia. E' nelle dittature che si viene incarcerati per reati d'opinione: oggi questa norma potrebbe salvare dal carcere l'inguardabile Sallusti, ma domani tutti quegli onesti giornalisti e blogger che cercano di contro-informare correttamente e coraggiosamente mettendosi contro i poteri forti. Lo so che pare strano dover salvare un impresentabile per salvaguardare un principio, ma i princìpi sono così, non possono essere selettivi a seconda delle simpatie o delle opinioni espresse, altrimenti sarebbero arbitrio. 

Su questo tema (sempre sul sito de Il Fatto quotidiano) sono intervenuti molti cittadini, quindi dopo alcune ore sono intervenuto anch'io nuovamente.

 

Ho letto con interesse i molti interventi scritti ed ho ripensato al mio intervento di stamane. Colgo in alcuni commenti una rabbia ed un desiderio di vendetta che come "cittadino semplice" condivido e comprendo molto bene. Non ho subito ciò che ha subito per esempio adrian0410, ma credo che ognuno di noi abbia dovuto nella vita mandar giù piccoli e grandi rospi che talvolta sono ancora nella gola dopo molti anni. D'altro canto non cambierei una virgola dei principii che sostenevo stamattina. Dobbiamo decidere da che parte vogliamo andare, quando pensiamo ad un nuovo modello di società vogliamo ribaltare solo gli equilibri di forze o desideriamo cambiare proprio modello? Io vorrei cambiare modello ed in questo modello la rabbia va compresa, ma non necessariamente agita e la vendetta non ha posto. Quindi tutti buoni o buonisti? Ma per nulla al mondo! Volendo usare uno slogan direi: "Né vendetta, né perdono". E quindi cosa? Giustizia, equità, libertà. Ricordiamoci però che "la libertà e difficile e fa soffrire" diceva il verso di una vecchia canzone di Dalla su testo di Roversi, morto pochi giorni fa. Vorrei rammentare per esempio il modello sudafricano di Mandela che, una volta liberato e divenuto Presidente di quel Paese dopo decenni di prigionia personale e di conflitti sociali, trame e delitti impuniti, propose -proprio per affrontare la possibile enorme rabbia sociale che poteva esplodere per i tanti torti subiti da troppe persone per tantissimo tempo- la Commissione Nazionale per la verità e la conciliazione. Tale commissione lavorò per qualche anno e ascoltò tutte le testimonianze di chi aveva subito torti enormi e di chi li aveva commessi (ciò tra l'altro permise di ritrovare molte persone scomparse o almeno le loro spoglie), tutte queste "voci" vennero depositate ad un organo nazionale credibile che non prometteva vendetta, ma almeno il riconoscimento del dolore e delle rabbie e desideri di giustizia di tutti gli attori in campo. Io penso che questo si potrebbe chiamare giustizia, né vendetta, né perdono, riconoscimento. Sul tema consiglio a chi non l'avesse visto il film di R.Polanski "La morte e la fanciulla" (1994).

Porci senza ali

24.09.2012 13:49

Non si trovano più le parole per commentare la cronaca di tutti i giorni, con storie come quella della Regione Lazio. Inutile continuare ad indignarsi, rischia di diventare un esercizio masturbatorio. La volgarità dei comportamenti che ci viene rovesciata quotidianamente addosso dice di dove siamo finiti, non da adesso, ma negli ultimi decenni. Ho sempre pensato che il berlusconismo non era che la versione matura, o meglio marcia, di ciò che avevamo già vissuto nei decenni precedenti e perciò stesso andava e va combattuto, ma forse occorre cominciare a pensare al dopo. Lo dice anche Raoul Vaneigem (che le '67 pubblicò un libretto intitolato "Trattato sul saper vivere. Ad uso delle giovani generazioni"): questo sistema sta implodendo da solo, forse è uno spreco di energie criticare ad oltranza, occorre invece prepararsi per il dopo inventando e consolidando nuove esperienze, nuove e buone pratiche di vita e di impegno sociale. E lasciamo che questi "porci" (come loro stessi freudianamente intuiscono, mascherandosi da maiali) finiscano di rotolarsi nella loro melma fino a soffocare da soli, isolati nei loro porcili.
Ciò non vuol dire smettere di essere vigili e critici, ma più semplicemente cercare e trovare nuove forme che ci facciano uscire dal circolo vizioso di una lamentazione rabbiosa ed impotente che rischia di farci male (oltretutto). Per cui giusto arrabbiarsi, indignarsi e criticare e manifestare in tutti i modi possibili contro questo mondo suino (che poi i maiali veri poveretti sono molto meglio), ma insieme a ciò cerchiamo dentro di noi la capacità di "giocare" e di creare nuove forme di coesistenza più sana ed iniziamo a praticarle senza aspettare che qualcuno dall'alto guidi i nostri pensieri. 

Gente senza onore

17.07.2012 18:19

 

C'è una storia tutta italiana che val la pena di commentare e che mi tortura l'anima da un po' di tempo. All'inizio pensavo fosse la storia di quel tanghero mezza cartuccia di Marchionne, a me sommamente antipatico come uomo e come figura. Poi -pensandoci bene e parlandone con altre persone- mi son reso conto che è inutile e fuorviante prendersela solo con gli esecutori, dimenticando i mandanti. L'antipatia verso questo M. mi deriva dal suo muoversi come un "padrone delle ferriere" pragmatico e sprezzante che non sembra tenere conto che le sue azioni -anche un po' portate con ostentazione del potere- ricadono sulle persone e non solo sui bilanci dell'azienda. E poi, mi dicevo, non è certo un genio come Amministratore Delegato viste le clamorose perdite nelle vendite delle auto Fiat, che come unica trovata "originale" non ha saputo far di meglio che andare negli States a comprare la Chrysler, fare dei cloni di alcuni modelli e trasferirli in Italia coi marchi Fiat e Lancia. Questa mossa ricorda un po' il Berlusconi dei tempi d'oro che, quando la Fiat Stilo non vendeva, diceva (cito a memoria):  "Io riuscirei a venderla, basta scrivere dietro Ferrari invece che Fiat e va via come il pane". Ma, come dicevo, lui è il front-man, l'esecutore di una politica aziendale che non può non essere decisa dagli azionisti di maggioranza della Fiat che, a quanto intendo, corrispondono sempre  alla famiglia Agnelli con addentellati e discendenti vari. Ma andiamo al sostanziale: Fiat è stato e forse è ancora il più importante gruppo industriale e finanziario italiano, un marchio che si intrecciava con la stessa identità nazionale da quando nel 1899 venne fondato da un gruppo di aristocratici, possidenti, professionisti torinesi che co-optarono per ultimo proprio quel Giovanni Agnelli capostipite della nota famiglia, che divenne poi il padrone quasi esclusivo dell'industria. Bisogna dunque dare onore al merito imprenditoriale degli inizi, ma anche ricordare che quasi subito gli intrecci con la politica divennero un modus operandi visto che quel Agnelli divenne senatore durante il fascismo e fu solo l'inizio degli Agnelli senatori. In secondo luogo credo sia riconosciuto da chiunque che la Fiat ha rappresentato un chiaro esempio di capitalismo assistito dallo Stato: quante volte abbiamo visto governi italiani inventarsi trucchi e trucchetti per favorire economicamente la "Real Casa" automobilistica, o pagare fior di quattrini la cassa integrazione dei dipendenti per aiutare quell'industria che allo Stato non ha mai restituito nulla se non nei termini -molto indiretti- di mantenimento di certi livelli occupazionali. Ecco, ora, nel momento del massimo bisogno che l'Italia come nazione ha dell'aiuto di tutte le sue componenti sociali, i più grandi pionieri ed imprenditori italiani scappano come i topi dalla nave che affonda e con "ardite" invenzioni finanziarie ed imprenditoriali cercano ogni scusa e ogni pressione per cavare quello che ancora si può dalla "rapa" Italia e poi andarsene all'estero con il bottino. Ma del resto si può biasimarli visto che gran parte dei capitalisti italiani ha fatto e sta facendo lo stesso? Che dire di gente come questa se non che è gente senza onore?

Garantismo

04.07.2012 15:17

Il garantismo è una concezione che vuole tutelare rigorosamente i diritti dell’imputato e salvaguardare la presunzione di innocenza in qualsiasi tipo di processo, anche se in ballo ci sono reati gravissimi come il terrorismo e l’appartenenza alle varie criminalità organizzate. E’ una bella concezione che sta alla base dei principii di ogni paese che voglia essere veramente democratico. Negli ultimi anni però, in Italia, questa nobile concezione è stata brandita come un randello da chicchessia, piegandola ai fini personali più ignobili, per “salvarsi le chiappe”. E allora assistiamo  impotenti ad un garantismo peloso che salva i mafiosi ed i corrotti, ma che non tutela i ladri di polli che finiscono per pagare conti non loro. Facciamo un esempio:  quanti di noi “cittadini semplici” verranno tutelati da nuove norme che limiteranno le intercettazioni telefoniche? Quanti di noi hanno in corso rapporti segreti e non confessabili che potrebbero venire intercettati? Io credo nessuno! In compenso molti faccendieri politici ed economico-finanziari non sanno più come parlare dei loro affari al telefono per paura di essere ascoltati  da qualche Pubblico Ministero (troppo) zelante. Ricordo che quand’ero studente a Padova, l’appuntato dei carabinieri del mio paese –incontrandomi in piazza- mi faceva paterne raccomandazioni sulle mie frequentazioni politiche di universitario. In effetti di fronte alla nostra Facoltà c’era una telecamera fissa –immagino della Questura padovana- che riprendeva ogni movimento. Il controllo c’è sempre stato e tutti –in un modo o nell’altro- siamo stati e siamo osservati e in una certa misura è probabilmente anche giusto: una polizia che non sa niente di nessuno è una polizia inefficiente che si fa cogliere impreparata. Tutto un altro conto è uno Stato poliziesco che controlla in senso fascista i propri cittadini per limitarne le libertà ideologiche e politiche. Cosa fare dunque? Quale tesi appoggiare? Personalmente penso –appellandomi al comune buon senso- che il garantismo deve tutelare le libertà civili sancite dalla nostra Costituzione, ma non deve affatto consentire a chi traffica e trama nell’ombra (ma talvolta anche alla luce del sole) di farla franca. La possibile fregatura sta nel fatto che i fautori del garantismo peloso si appellano a sacri ed indiscutibili valori etici ed ideali per continuare a fare impunemente i loro affarucci che hanno messo il nostro Paese economicamente ed eticamente in ginocchio. E’ la logica del cavallo di Troia: dentro un concetto alto ed attraente vengono nascosti gli interessi privati ed illeciti della solita “banda del buco”.

Psicoanalisi è umanità

13.06.2012 15:12

 

Si fa sempre un gran parlare della psicoanalisi e della psicoterapia e se ne dicono di tutti i colori, è addirittura un argomento da salotto. Fiumi di inchiostro hanno inzuppato montagne di carta, eppure è sempre abbastanza difficile dare una definizione di questa disciplina che non risulti alla fine parziale o letteraria o addirittura falsa, che non ne rispecchia la realtà quotidiana di chi la attraversa, paziente o analista che sia. Verso la fine del secolo appena finito un grande psicoanalista (mi pare fosse Gaetano Benedetti, siciliano, che ha sempre lavorato in Svizzera) ha avuto modo di dire qualcosa del genere: “L’umanità in questo secolo si chiama psicoterapia”. E io credo che abbia ragione e che valga ancora per quest’altro secolo. La psicoanalisi, come tutti sanno, è stata inventata da Sigmund Freud e ha poco più di cento anni, ma è riuscita a pervadere ogni angolo della cultura occidentale, travalicando lo stretto ambito “medico” in cui era nata. Ha dovuto superare ogni sorta di ostracismi ed opposizioni prima che la cultura la accettasse e non ha ancora finito perché ancora oggi in molti ambienti medici e scientifici viene considerata come una sorella minore, anzi una sorellastra. Forse non le viene perdonato di aver intuito cose che la scienza ufficiale ancor oggi non riesce a concepire: prima ho detto che Freud ha “inventato” la psicoanalisi, ma occorre che precisi che inventare viene dal latino invenire, cioè trovare. Senza voler sminuire l’enorme lavoro di costruzione di questa disciplina da parte del suo autore, che rimane a mio avviso un gigante della ricerca e dell’intelligenza umane. Le invenzioni sono sempre così, sotto gli occhi di tutti, ma solo alcuni riescono a vederle. Altri avevano già “visto” in epoche diverse, per esempio Sant’Agostino che diceva: “Quando inizio a pensare dentro di me nasce il concetto. Se lo voglio esprimere, sulle mie labbra fiorisce la parola relativa a quel concetto. Le dò suono e il suono dalle mie labbra giunge al tuo orecchio. Da qui scende nel tuo animo. Il tuo animo decifra il suono. Raccoglie il pensiero e lo fa proprio. Il pensiero che originariamente era dentro di me è ora anche dentro di te. Io non mi sono impoverito del mio e tu te ne sei arricchito.E’ diventato nostro. Io sono uscito dalla mia solitudine e tu dalla tua. Fra di noi è nato un rapporto che prima non esisteva. Un rapporto di risonanza, di consonanza. Si è creata fra di noi una relazione che prima non esisteva. Ciascuno di noi, in qualche modo, è cambiato. Entrambi siamo un po’ nuovi”. Che cos’è questa se non un’altra definizione possibile della psicoanalisi?

 

Canoa a Verbania

14.05.2012 18:29

 

Siamo a Verbania, piovosa eppur ridente cittadina sul Lago Maggiore, Mentre scendiamo da una delle vie di Pallanza che portano al lago ci prepariamo al colpo d’occhio sullo specchio d’acqua, ma qualcosa si frappone al solito sguardo emozionante sul bacino illuminato dal sole. Qualcosa di argenteo che riflette i raggi della luce ed impedisce la vista. Ci avviciniamo incuriositi e scopriamo che si tratta di una scultura: una canoa d’acciaio capovolta  lunga parecchi metri sorretta da due uomini nudi bronzei, il tutto appoggiato su due gradini di cemento da due metri per due che coprono il porfido. La gente, come noi, intorno è attonita, qualcuno sorride, qualcun’altro –essendo già lì da un po’- ascolta sornione i commenti, due turisti stranieri scendono dalle biciclette e ridono a crepapelle girando intorno alla scultura. Da qualche passante informato scopriamo che forse la canoa è un richiamo per un’importante mostra d’arte che ci sarà all’Isola Madre e che l’obbrobrio verrà rimosso ad ottobre. Dico obbrobrio non per scultura in sé che non so giudicare, ma per la sua collocazione e mi dico che l’ideatore e gli autorizzatori del posizionamento sicuramente hanno la testa da un’altra parte, ma credo che non abbiano nemmeno gli occhi altrimenti avrebbero visto subito anche loro ciò che tutti, ma proprio tutti coloro che passano vedono.

 

Il diavolo probabilmente

01.04.2012 17:48

 

“Il diavolo probabilmente” è un film del 1977 di Robert Bresson che credeva nell’esistenza metafisica del male. Inutile raccontarne qui la trama, mi interessa solo come spunto, quasi come slogan. E’ il pensiero che talvolta mi si affaccia alla mente quando penso a come vanno le cose nel mondo, un pensiero pessimista, un pessimismo della ragione. In questo nostro mondo ci sono tante cose che non vanno, forse troppe, seguendo questo pensiero. A tutti i livelli, e non parlo solo dell’Italia che tutti i giorni abbiamo sotto gli occhi con le sue tragedie e le sue commedie di paese che sembra non riesca a raggiungere la modernità, governato com’è dagli interessi particolari, dalle mafie, dalle lobbies, da una politica asfittica che non sa produrre slanci ideali. Parlo più in generale di tutto il pianeta in cui sembra che tutto o molto congiuri contro la possibilità di una convivenza pacifica, serena e (perchè no?) ricca di risorse concrete e ideali. Tutto, dall’economia all’ambiente, alle relazioni umane sembra dominato da istinti rapaci e rapineschi che non pensano al domani, ma solo ad un oggi ottuso, stolto e buio. E’ qui che viene la tentazione di pensare ad una guerra del male contro il bene: come è possibile altrimenti che tali istinti siano così ciechi da non vedere che conducono verso la china dell’autodistruzione? Sono pensieri scivolosi che se uno vi si lascia un po’ andare vien voglia di chiudersi nel proprio bunker cercando di salvare almeno il proprio piccolo cosmo personale, ed è un desiderio legittimo, umano, ma forse altrettanto cieco. Non ci si può salvare da soli, non si può coltivare un po’ di felicità se tutti gli altri finiscono nel gorgo della distruzione. Forse invece occorre fare i conti con la nostra natura umana costituita, come è, sia dal bene che dal male e allora mi è naturale pensare che il male non gode di esistenza metafisica, così come il bene. Sono cose fisiche che noi produciamo, ma allora se è come penso, rimane alla nostra portata occuparcene, accoglierle nella loro inevitabile umanità e provare a trasformarle, lavorarci sopra. Non voglio fare della filosofia spicciola e non voglio nemmeno essere ingenuo, credo invece possibile affiancare al pessimismo della ragione, l’ottimismo della speranza. Da cosa nasce la speranza? Dal fatto che ognuno di noi sa, sente intimamente ciò che è veramente giusto, il difficile è praticarlo, ma ricordiamoci che è possibile. Già mantenere viva questa consapevolezza può fare la differenza. Searles, grande psicoanalista del ‘900, diceva che i bambini sono naturalmente buoni, sono poi le esperienze brutte della vita a farli cambiare. Lavoriamo allora per fare e costruire belle esperienze.

 

Predator

21.02.2012 22:46

 “Avanza lungo il ciglio della strada... la notte si addice ad un tipo come lui e lui questo lo sa. Il passo elastico e molleggiato manifesta sicurezza, un incedere felino e  ha quell’aria di chi sa bene dove sta andando. Il carattere e le caratteristiche del predatore, ecco cosa si potrebbe dire di un tipo così e lo si può dire con un misto di ammirazione, invidia e riprovazione: un passo dopo l’altro, si guarda intorno con atteggiamento consapevole del proprio ruolo nel mondo.

In un batter di ciglia la scena si stravolge, una figura, anch’essa scura, esce dal buio e gli vola addosso, è un’aggressione in piena regola. Inaspettata come un lampo a ciel sereno, imprevedibile, quasi impensabile la vicenda che sta avvenendo. Eravamo sicuri che il mondo in quel momento poggiasse su basi certe, paletti inamovibili: esistono i predatori ed esistono le prede, non si può fare confusione, ora invece tutto si è capovolto e il predatore è diventato preda. E’ lui il primo ad esserne sorpreso, prima che spaventato. Il mondo sottosopra. Per un istante i due sembrano rotolare avvinghiati, ma è solo una frazione di tempo o forse addirittura un’illusione. Con un colpo di reni –e riflessi davvero invidiabili-  il tipo molleggiato si rivolta e cerca di afferrare il suo avversario, ma è già troppo tardi, l’altro è già in fuga, lontano e lui non tenta neppure di rincorrerlo. La scena è un po’ surreale: vedere un tipo così che, scarmigliato, si guarda intorno, sorpreso e lievissimamente smarrito, carico di un’aggressività che non ha più un obiettivo su cui scaricarsi lo fa sembrare uscito dal mito di sé stesso. Ma forse uno così non ha il mito di sé, più semplicemente e naturalmente lui è quel che sembra, non recita, non si atteggia. E’ in possesso del suo ruolo nell’ordine delle cose e ora si allontana con una esperienza in più nella memoria, un’esperienza che forse lo renderà ancora più adatto alla sua vita.”

Se avete letto fino a qui vi informo che il fatto descritto è realmente avvenuto e io personalmente ne sono stato testimone oculare su una strada di collina una notte. Ora fate una breve pausa, provate ad immaginarvi la scena e date forma alle circostanze e ai due protagonisti. Fatto? Bene, adesso devo svelare un particolare non secondario: (andare alla pagina successiva)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

i protagonisti sono un gatto e un gufo. Non so quanti dei lettori l’avessero immaginato, ma credo che molti abbiano pensato a due uomini e a scenari da cronaca nera. Questo avviene perché noi esseri umani tendiamo ad antropomorfizzare tutto e soprattutto a –involontariamente, inconsapevolmente- riempire di contenuti nostri i fatti che ci vengono raccontati.

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